Sono un architetto e di noi si dice che scriviamo malissimo. In realtà si dice anche di peggio, mio suocero amava ripetere che gli architetti servono solo a far dritte le cose che nascono storte e far storte le cose che nascono dritte, lo diceva in dialetto veneto, mitigando quello stretto, anche se, dopo aver vissuto per tredici anni in quella regione, ero in grado di capirlo lo stesso. Anche lui, probabilmente aveva ragione.
Sono nato a Pesaro nel 1967, nel giorno e nell'ora più calda che l'estate possa avere, e già da lì si doveva intuire che le cose proprio normali mi sarebbero andate strette, per aggravare la situazione a soli quattro mesi ho fatto il mio primo volo intercontinentale. Italia - Perù. Si narra che mia madre mi inserì in una cesta apposita della compagnia aerea, grande come una di quelle borse da tennis poi di moda negli anni settanta, e che ci stessi tutto, alla grande. Stavamo raggiungendo mio padre che era rimasto in Amazzonia.
Le prime parolacce le ho apprese in spagnolo e quando tornammo tutti in Italia mia nonna non mi capiva perché parlavo un mix tutto mio di due lingue. Infanzia e adolescenza sono corse come per tutti fino a quando è stata ora di trasferirmi a Venezia per gli studi universitari. Una città odiata per i primi tre anni e poi amata visceralmente per i successivi dieci.
Ho vissuto anche per brevi periodi all'estero: a Dortmund, nella Germania più industriale e grigia che ci possa essere, e ad Amsterdam per il primo lavoro da architetto, anche se ancora uno studente. In Italia, dopo Venezia è stata la volta di Vicenza per tre anni.
Con l'inizio del millennio, per non fare confusione con le date, sono tornato a vivere a Pesaro dove ho aperto il tanto bramato studio professionale, dove mi ha raggiunto la mia compagna, anche lei architetto, e dopo qualche anno è nato nostro figlio.
Scrivere mi è sempre piaciuto ma l'ho sempre relegato ad un fatto privato e quando mi sono cimentato in saggi di architettura ho decisamente contribuito ad alimentare le dicerie sugli architetti. Però avevo una speranza riposta nelle pieghe della genetica, mio nonno paterno scriveva molto e molto bene, fino a raggiungere le vette di premi letterari nazionali, anche se esercitava a livello amatoriale. Chissà se qualche goccia è passata.
Il viaggio in Amazzonia nel 2015 è stato un andare a vedere il principio di tante cose, un viaggio talmente importante e forte che ha travalicato il pudore del privato, sfociando in una voglia di condivisione, di stesura su carta di sensazioni, sentimenti ed emozioni che concitatamente continuavano ad affollarsi anche dopo il ritorno.